Gli innamorati

1950

Gli innamorati segnano un momento importante nella ricerca di Strehler su Goldoni: la transizione dalla Commedia dell’Arte alla commedia realista del Goldoni maggiore. A confronto con il puro gioco dell’Arlecchino servitore di due padroni o di altre commedie, quella degli Innamorati si può già davvero chiamare indagine sull’uomo: vi manca ancora il senso dell’universale, mancano i nessi del personaggio col suo ambiente, con la società, e tuttavia ci si avvicina in un modo estremamente più concreto all’uomo, non più maschera ma essere vivo e complesso. Proprio per questo, nella recitazione, nonostante segua ancora il ritmo accelerato e gettato vivacemente in platea della Commedia dell’Arte, sono già chiaramente visibili spaccature e rallentamenti psicologici.

Personaggi e interpreti

Fabrizio Antonio Battistella
Eugenia Marina Dolfin
Flaminia Lia Angeleri
Fulgenzio Antonio Pierfederici
Clorinda Armanda Sabbi
Roberto Diego Michelotti
Ridolfo Ottavio Fanfani
Lisetta Rosalba Oletta
Succianespole Marcello Moretti
Tognino Marcello Bertini

Scena di Gianni Ratto
Costumi di Ebe Colciaghi
Assistente alla regia Marcello Moretti

Testo di Carlo Goldoni

Regia di Giorgio Strehler

Lecco, Teatro Sociale, 8 ottobre 1950

Riprese

1950,1951

Lo spettacolo è ripreso in numerose città, tra cui Novara, Ivrea, Como, Lugano, Milano, Bergamo, Brescia, Varese, Pavia, Biella e Piacenza.

Nel 1951 va in scena a Torino, Lecco, Genova e Zurigo.
In alcune recite il ruolo di Clorinda è interpretato da Liana Casartelli.

Strehler ne parla

Dalla Commedia dell’Arte alla Riforma

Gli innamorati è stato uno dei testi attraverso i quali si è mossa la nostra indagine teatrale su Goldoni: se consideriamo le opere goldoniane rappresentate da noi, dall’Arlecchino servitore di due padroni fino alla Trilogia della villeggiatura, possiamo riscontrare una specie di diagramma cronologico, che corrisponde anche a una evoluzione storica di Goldoni scrittore: quest’opera di indagine si è svolta infatti attraverso delle tappe e parte dal Goldoni della Commedia dell’Arte fino ad arrivare al Goldoni realistico dell’ultimo periodo. Sul palcoscenico del Piccolo Teatro noi abbiamo cioè seguito, nel tempo, lo stesso sviluppo che Goldoni ha seguito, come scrittore, nella sua parabola di vita, partendo cioè dalla Commedia dell’Arte per giungere al realismo. È un approccio discutibile, se vogliamo, ma Goldoni è un autore drammatico che è partito da posizioni non realistiche e, attraverso un lavoro che è durato tutta la vita, ha conquistato la dimensione della realtà, con Le baruffe chiozzotte, con La trilogia della villeggiatura e con I Rusteghi, per esempio.
Ora, Gli innamorati rappresenta un po’ la seconda tappa, il passaggio dalla Commedia dell’Arte alla riforma: il testo che a noi storicamente è parso una delle svolte di Goldoni verso la commedia realistica. Si tratta già di una commedia di caratteri.
In rapporto al gioco gratuito dell’Arlecchino servitore di due padroni e di altre commedie di un certo periodo storico, con Gli innamorati entriamo in un’indagine più precisa sull’uomo: mancano ancora le dilatazioni universali, mancano ancora i nessi storici fra l’uomo e il suo ambiente, la sua società, perché Goldoni era un uomo del Settecento. Però già prende avvio qui un’indagine estremamente più concreta dell’essere umano, non più maschera, non più carattere (cioè maschera senza maschera), ma uomo nelle sue molteplici contraddizioni. Gli innamorati è una commedia i cui personaggi si muovono in perenne contraddizione con se stessi e fra loro, in cui la dialettica di un fatto vitale comincia a prendere corpo e sostanza. Naturalmente tutto questo ragionamento è fatto più a posteriori che a priori: direi che quando tutto ciò avveniva, avveniva più per un moto spontaneo che per un moto ragionato. Gli innamorati di Goldoni furono rappresentati con una scena che era tendenzialmente ancora la scena classica fissa della Commedia dell’Arte, ma che aveva già acquistato una certa concretezza di oggetti e di cose che si muovevano in scena. La scenografia tuttavia era ancora di tipo pittorico, non era ancora tendenzialmente realistica; era piuttosto una scena tendenzialmente stilizzata e anche nella recitazione degli attori il modulo sul quale ci muovemmo oscillava fra il ritmo della Commedia dell’Arte e un approfondimento psicologico dei singoli personaggi. È su questa falsariga che noi abbiamo recitato Gli innamorati di Goldoni.

Colloqui con Arturo Lazzari (1974/75), trascrizione dattiloscritta – Archivio Piccolo Teatro di Milano

Rassegna stampa

Una regia immaginosa, libera, precisa

Dell’edizione allestita da Giorgio Strehler loderemo tutto: lo spirito, il colore, il ritmo, lo svincolamento da ogni effettismo tradizionale. Una regia immaginosa, libera, precisa. La giovanissima e scintillante Marina Dolfin ha dato a Eugenia la grazia e la collera, la dolcezza e la malizia necessarie; siamo felici di sottolineare un autentico, meritato, successo. Il Fulgenzio del Pierfederici è un’interpretazione notevole, e bene hanno recitato l’arguto Battistella, il Moretti, la Angeleri, il Fanfani, il Michelotti, la Oletta, la Sabbi, il Bertini. La scena di Gianni Ratto e i costumi di Ebe Colciaghi hanno contribuito all’ottimo esito del delizioso spettacolo. Moltissimi applausi.

Eugenio Ferdinando Palmieri, “Il Tempo”, 14 ottobre 1950

Il drammatico si trasforma in comico

La realizzazione di Strehler ci è sembrata fra le sue migliori. Sacrificando anche i prestigiosi giochi di “alta regia”, egli ha affrontato il problema da un punto di vista più sostanziale. Ai suoi tempi Gli innamorati era un dramma più commovente che comico. Strehler l’ha reso più comico che commovente. Gli innamorati dovevano provocare perfino le lacrime, ma attraverso espedienti che oggi avrebbero provocato le risa. Strehler ha eliminato il pericolo di una goffaggine con un arguto semitono. La originaria drammaticità si converte in umore. Le battute drammatiche sono state proferite in vena di garbata ironia che nulla toglie al testo; che converte, attraverso una trama di fini intuizioni, il drammatico in umoristico: il passo, in fin dei conti, è breve. E il patetico si fa ameno, attraverso gl’inviti a un gioco di rievocazioni.
Che dire di Marina Dolfin? Con la sua grazia fisica, il brio, la inesauribile tenacia dei suoi vent’anni, non ci ha dato respiro; tutti ha conquistato con la leggiadria dei suoi vezzi, e con la sua abilità.

Icilio Ripamonti, “Avanti!”, 14 ottobre 1950

Goldoni diventa contemporaneo

Le difficoltà di portare sulla scena questo particolare Goldoni, fuori del dialetto, così carico di sapori linguistici (certi giri del periodo e molte svagate franceserie) erano di varia natura. Il regista Giorgio Strehler ha cercato di equilibrare, intanto, la dizione del testo con attori che dessero il senso del “leggiero e dell’irragionevole”; e ha scelto bene per la parte di Eugenia, affidandola a Marina Dolfin. […] Anche qui Strehler, dopo la prova della Putta onorata, riporta il grande veneziano a una chiarezza contemporanea, eludendo per questo impegno quella mediocre tradizione goldoniana ritenuta valida fino a ieri.

Salvatore Quasimodo, “Il Tempo”, 21 ottobre 1950

Una commedia bellissima, realizzata con spirito e intelligenza

Gli innamorati dell’altra sera ci sono parsi una commedia bellissima, realizzata con spirito e intelligenza. Naturalezza, grazia e armonia senz’altro c’erano. Unica esagerazione, se mai, gli eccessivi belati di Fulgenzio, che risulta un giovanotto un po’ troppo molliccio, quello che in veneto si direbbe “pampe”. Ma una certa esagerazione si direbbe fosse nelle intenzioni dell’autore, a giudicare da ciò ch’egli scrisse, presentando la commedia. Nel complesso, uno spettacolo di straordinario garbo, felicemente stilizzato e sorridente.
Due innamorati che, per essere l’uno dell’altro troppo innamorati, finiscono per tormentarsi benché niente si opponga al loro amore, ecco l’argomento. Se si volessero un po’ meno bene, tutto filerebbe liscio. […]
Lilla Brignone e Gianni Santuccio, colonne del Piccolo Teatro, stavolta sedevano in poltrona, godendosi la insolita parte di puri spettatori. Nessuna celebrità sul palcoscenico. Eppure tutto è andato come meglio non si poteva (almeno noi) desiderare. Per cominciar dal basso, un applauso al Moretti come Succianespole, a Fanfani come Ridolfo, a Michelotti come Roberto il gentiluomo, a Pierfederici (con la riserva che si è detto) furibondo e piagnucoloso innamorato. Ma soprattutto bravi Antonio Battistella e Marina Dolfin. Il Battistella ha fatto dello zio Fabrizio un ritratto estremamente spiritoso (in galleria, a sinistra, uno rideva con dei tali nitriti che si temette gli venisse un colpo). In quanto alla Dolfin, è una di quelle ragazze che a Venezia dicono: «Come la xè còccola!» (in italiano: caruccia, soffice, tenera, simpatica). È piaciuta a tutti per quel suo fare da bambina, quella perfezione femminile delle bizze, quegli strilli, quei bronci, quei singhiozzi. Dalla platea, sua mamma, Toti Dal Monte, aveva ben ragione di applaudire.

Dino Buzzati, “Bis”, 28 dicembre 1950

Gli innamorati, una commedia realistica

Ogni opera la si recita come la si concepisce e ogni interpretazione è, alla resa dei conti, un’opinione critica. Giorgio Strehler che, nel nome di Goldoni, ha tanto felicemente inaugurato la nuova annata al Piccolo Teatro, mostra di mantener fede all’opinione di Goldoni autore “vero” e degli Innamorati commedia realistica, e non nego che la regia di un copione comico possa trarre dei vantaggi teatralmente immediati e facilmente divertenti da simile concezione. Accettata la sua posizione, che, del resto, non manca di argomenti validi, si deve riconoscere l’agile cromatismo e l’accesa comicità da lui e dai suoi collaboratori infusa nel dialogo, a cominciare dal Ratto, che immaginò un interno di molto elegante minuziosità, e dalla Colciaghi, che disegnò dei costumi fantasiosamente poveri ma storicamente esatti, fedelmente obbediti. Marina Dolfin, recente e prezioso acquisto del Piccolo Teatro, è stata una protagonista di cangiante morbidezza e volubile varietà e ha superato, con un istinto eccezionale e un controllo ammirevole, una prova fra le più difficili.

Carlo Terron, “Omnibus – Milano”, 29 ottobre 1950

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