La scena, impiantata nella Vasca dei Cigni con un andamento a gradoni o gironi concentrici, indicava luoghi deputati che, dal gradone inferiore affacciantesi sull’acqua, salivano a mostrare a sinistra la grotta di Prospero, la zona di Calibano e, a destra, i luoghi su cui venivano gettati rispettivamente i cortigiani e Ferdinando dalla tempesta. Più in alto, dove le rocce e gli anfratti cedevano a una più fantasiosa vegetazione, apparivano di regola gli spiriti di Ariele, in un iter dall’alto verso il basso, quasi a sottolineare gestualmente l’impatto con gli “uomini”, mentre Calibano non superava mai la linea che, dall’acqua agli anfratti, arrivava fino al mondo di Prospero e Miranda. Il culmine dell’isola, alla base della statua di Nettuno, era il punto di partenza del masque e veniva quasi a simboleggiare al tempo stesso il vertice della potenza magica di Prospero, ma anche il suo punto di arrivo e la sua fine.
All’erompere della tempesta musicale su uno dei temi scarlattiani elaborati da Fiorenzo Carpi, la nave di re Alonso percorreva il semicerchio d’acqua da sinistra a destra senza arresti o soluzioni di continuità, su uno sciabolare di luci che colpiva i personaggi a lampi intermittenti, mentre l’acqua restava il più possibile all’oscuro. Soltanto dopo il placarsi della tempesta e nel giorno che seguiva alla notte degli elementi, anche l’acqua cominciava a vivere. Per qualche istante la luce centrava l’acqua e le zone più alte dell’isola, lasciando sulla sinistra Prospero e Miranda in semioscurità e rivelandoli gradualmente con un lento movimento dall’alto verso il basso, dopo aver dato l’illusione che i due corpi umani fossero parte immobile della scenografia.
Sul sonno di Miranda iniziava un mutamento di luce a cui seguiva la musica di Ariele, che appariva da destra in alto e assumeva posizioni sulla zona opposta a Miranda, la sinistra, che restava in ombra quasi totale. Sempre a destra, in basso, strisciava verso Prospero Calibano, comunque preceduto dall’apparizione di Ariele come ninfa marina e da rapidi mutamenti di luce che culminavano nell’apparizione del “mostro”.
Dall’estrema destra in alto, Ariele guidava Ferdinando con il suo canto (Venite a queste sabbie d’oro e Tuo padre è là nel fondo a cinque tese) mentre Ferdinando, come incantato, seguiva la voce e la musica dal basso. Al termine dell’apparizione e dell’uscita degli spiriti, Ferdinando veniva a trovarsi quasi di fronte a Miranda che, guidata da Prospero, era tornata alla sua posizione durante la scena precedente. […]
Il secondo tempo iniziava, musicalmente, nel segno e su un largo motivo di pace degli elementi. A un primo pizzicato di luci che spioveva dalle zone alte e chiazzava ancora parzialmente certe altre, seguiva l’illuminazione della zona di Prospero, preceduta da quella della zona dove Ferdinando usciva, impegnato nel suo lavoro. Miranda lo seguiva dapprima solo con lo sguardo, da lontano. Poi, a misura che gli si appressava, Prospero appariva davanti alla sua grotta, convenzionalmente invisibile nel suo mantello magico. La scena d’amore fra i due giovani, assai parca di movimenti, accennata persino nelle azioni reali che portavano Miranda ad aiutare Ferdinando nel suo lavoro, era come un avvicinamento al centro della scena, un avvicinamento che, però, restava incompiuto: come a sottolineare che, ancora, Miranda restasse nella sfera di Prospero e Ferdinando in quella del lavoro come terapia di riscatto umano. Accentuata era la separazione da parti diverse; e tutta la scena rivelava, come impostazione, un misto di cerimoniale cortigiano (Ferdinando) e di innocenza primitiva (Miranda).
La seguente scena Calibano-Trinculo-Stefano iniziava già sopra le righe, con i tre personaggi in stato di avanzata ubriachezza. Il disegno eversivo, le interruzioni di Ariele, gli equivoci sonori, tutto si animava di musiche e suoni mentre si accentuava il carattere da Commedia dell’Arte nei movimenti. […]
All’apice di tensione e follia di questa scena faceva contrasto la serena gravità della seguente, in cui Prospero conduceva Ferdinando e Miranda verso quel centro simbolico della scena dove aveva luogo l’unione fra i due giovani. Qui Ferdinando s’è già liberato dei modi di corte e Prospero della sua durezza.
Il masque nasceva dalla grotta alla base della statua di Nettuno e – a parte Iride (Ariele) – era cantato da Cerere e Giunone. […]
Ora Prospero scendeva dalla zona alta, avvolto per l’ultima volta nel suo mantello magico e impugnando la bacchetta – e l’umanità, che il suo spirito di vendetta aveva conculcata, si rispecchiava in quella nascente in Ariele prossimo alla libertà. Dopo il grande monologo («O elfi dei colli…») e l’iscrizione dei cortigiani nel cerchio magico che, da folli, li faceva immobili, Prospero si liberava dal manto e contemporaneamente cominciava a sciogliersi la loro rigidità. Ma prima aveva luogo il commiato di Ariele e l’ultimo ordine: svegliare la ciurma, condurre tutti sul posto. Al centro dell’isola si scioglieva l’incantesimo, avveniva l’agnizione, la riconciliazione, il ricongiungimento di Ferdinando con il padre, l’ingresso del Nostromo e dei rivoltosi; e, oltre la clausola finale della ragione e del perdono, l’epilogo, preceduto da una festa di fuochi artificiali. Le parole dell’epilogo – pronunciate in proscenio – arrivavano sull’ultima eco e sulle ultime tracce dei fuochi e mostravano Prospero, libero nella sua finale condizione di uomo dalla “debole forza”, senza più spiriti e sortilegi, ora invocante dal pubblico «l’aiuto buono delle mani» e la preghiera che lo liberi da ogni peccato. […]
I costumi – rinascimentali, ma già anticipanti il barocco – erano fondamentalmente di panno Lenci, con colori pastello che includevano anche Stefano e Trinculo (Brighella-Pulcinella), il Nostromo e il Capitano. Calibano aveva dell’incerata e della canapa. Gli spiriti e Ariele avevano fondi di calzamaglia e ornamenti che alludevano a uccelli. Ariele, comunque, aveva sovrapposizioni di materiale leggero, seta probabilmente, in una specie di trait d’union con il mondo rinascimentale-barocco e una specie di allusione ad ali. Del resto, le braccia degli spiriti erano anche embrioni di ali.
I luoghi deputati dell’isola non erano mai totalmente isolati luministicamente, anche se sottolineati da effetti specifici. Non si estingueva mai un piazzato generale, a parte l’apparizione di Ariele-Arpia e il braccaggio di Calibano e compagni da parte della muta di cani. Le luci esprimevano il trapasso dalla notte della tempesta all’alba del nuovo giorno, fino alla sera della cadenza finale. Quindi, un ampliamento delle quattro ore entro le quali si svolge, secondo Shakespeare, l’azione scenica. Il masque avveniva in un pieno fulgore di tramonto.
I temi di Domenico Scarlatti erano a grande orchestra (dirigeva Ettore Gracis) e con interventi corali. Il golfo mistico era il sottosuolo dell’isola. L’effetto sonoro era quasi sempre di doppia eco, sotterranea e area, come se venisse contemporaneamente dal fondo della terra e del mare e dall’aria.
Gestualità: Ariele e gli spiriti volutamente convenzione barocca; parziale legnosità in Stefano e Trinculo; movimenti da acquario in Miranda e Ferdinando; statuarietà di Prospero; Calibano rotolava.
Ettore Gaipa, La Tempesta 1948 a Boboli, 1978, note inedite dattiloscritte – Archivio Piccolo Teatro di Milano